Il giudizio universale (1961)
Cosa faresti nei tuoi ultimi minuti di vita se fossi su un aereo che sta per schiantarsi?
Beh ecco, il film sembra fare lo stesso gioco di fantasia: dal cielo di Napoli una voce tonante annuncia l'imminenza del giudizio
universale. Da quel momento, gli uomini mostrano una serie di reazioni molto ampia, ma che alla fine non è difficile distinguere
in “buone” e “cattive”: c’è chi si pente degli errori e dei torti commessi (il personaggio di
Rascel, che confessa i suoi cattivi pensieri all'amico Gassman, o la moglie alto-borghese che vuole liberarsi di tutte le
ricchezze); c’è chi torna a macchiarsi delle vecchie colpe pur avendo giurato di non cascarci
più (il "commerciante” di bambini interpretato da Sordi); c’è chi si mostra ottuso e superficiale persino in una
situazione estrema (i genitori che costringono la figlia a mettersi a stirare per dare l’impressione a Dio – sic
– di essere una “brava” ragazza).
Il grande merito di questa messa a nudo dell’Uomo lo attribuisco a Cesare Zavattini
(che ha firmato soggetto e sceneggiatura) e al suo inconfondibile stile. Che consiste nel mascherare col surreale il proprio
“j’accuse”, in una fase della storia italiana in cui si cercò di bandire dall'arte la critica della società
e qualsiasi forma di dissenso.
Consideriamo gli episodi delle persone socialmente “importanti”: il ministro
viene abbandonato dai leccapiedi quando comincia a diluviare; l’ambasciatore fa licenziare il cameriere per una sciocchezza,
va con la prima che capita, tira di coca; l’avvocato (De Sica) difende a spada tratta un truffatore anche nel momento
del giudizio. E osserviamo in quanti modi diversi e geniali Zavattini se ne prende gioco: la gag dei cappelli e delle strette
di mano per il ministro, l’elemento musicale e danzante nell’episodio dell’ambasciatore, i giochi di parole
in cui si impegola l’avvocato. Zavattini, insomma - così come il bambino
nel film - tira pomodori in testa ai ricchi, ai potenti, agli sbruffoni.
"È cosa da piangere o è cosa da ridere?" - si chiede Pulcinella, nel film, a proposito
dell'annuncio che arriva dal cielo. Ma questo dilemma viene rigirato a noi spettatori di fronte all'ambivalenza dello stile
di Zavattini: dobbiamo ridere per la sua particolarissima comicità, o piangere per il vero messaggio che vuole comunicarci?
Io scelgo la seconda: perché, se fosse Zavattini
a condurre il giudizio universale, non avremmo dubbi su chi condannerebbe.